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La nullità di “Spaghetto quadrato”

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La Corte di Cassazione si è espressa sulla nullità del marchio “Spaghetto quadrato” dell’azienda “La Molisana”, dichiarandolo privo di distintività e ponendo fine alla diatriba che vedeva da un lato il pastificio molisano e dall’altro la Barilla. Secondo la Suprema Corte la dicitura “spaghetto quadrato” si limita a descrivere la forma del prodotto alimentare ma non presenta uno dei requisiti fondamentali per poter essere registrato come marchio e cioè la distintività.

La distintività di un marchio è un elemento essenziale, dal quale non si può prescindere, in quanto consente al consumatore di ricollegare i prodotti contraddistinti dal marchio all’impresa produttrice. La capacità distintiva implica che non possono essere registrati come marchio d’impresa i segni privi di tale carattere, cioè:

  1. le denominazioni generiche di prodotti o servizi di uso comune, in quanto appartengono a tutti: ad esempio non può certo essere richiesto l’uso esclusivo di termini come “bio”, “latte” etc.;
  2. le indicazioni puramente descrittive, cioè quando il nome del marchio coincide con il prodotto o servizio che deve rappresentare, o quando ne racconta solo le caratteristiche (ad esempio il nome del marchio di una porta è “super porta”).

La mancanza di “capacità distintiva” del marchio, è uno dei principali motivi che possono portare all’annullamento di un marchio, come di fatto è avvenuto per “spaghetto quadrato”.

Può succedere però che un marchio meramente generico e descrittivo, acquisisca una certa distintività grazie all’uso protratto nel tempo ed al supporto pubblicitario. E’ il fenomeno del c.d. “secondary meaning” che si verifica quando un marchio da debole (perché privo di originalità) diventa forte. Pertanto anche un marchio descrittivo qual è ad esempio la parola “divano” può potenzialmente acquisire nel tempo distintività (ne abbiamo parlato qui).

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Un requisito imprescindibile

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Sappiamo che un marchio per poter essere registrato deve essere dotato di novità, liceità e capacità distintiva. Questi requisiti valgono indistintamente per tutti i marchi, anche per i marchi sonori. Apriamo una piccola parentesi e vediamo che cosa caratterizza un marchio sonoro ed il suo significato.

Il marchio sonoro appartiene alla categoria dei cosiddetti marchi invisibili che comprende tutti i marchi che non possono essere percepiti visivamente, in quanto costituito esclusivamente da un suono o da una combinazione di suoni ( ne abbiamo parlato qui). Ci domandiamo se è possibile riconoscere un prodotto attraverso il suono. La risposta è affermativa. A titolo esemplificativo citiamo la Mc Donald’s Corporation, una delle più famose catene di fast food al mondo, diventata celebre anche grazie al suo popolare jingle

Pertanto un marchio sonoro in quanto tale deve possedere tutti i requisiti propri dei marchi. Questo concetto è stato di recente precisato dal Tribunale dell’Unione Europea. Il caso riguarda il deposito come marchio comunitario di un file audio presso l’Euipo (Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale), rigettato prima dallo stesso ufficio perchè privo del carattere distintivo e confermato poi sia dalla Commissione Euipo che dal Tribunale dell’Unione Europea.

Secondo il Tribunale dell’Unione Europea il consumatore finale deve essere in grado di collegare immediatamente il suono di un prodotto all’azienda che lo produce, cioè il marchio sonoro deve permettere al consumatore di percepirlo come marchio e non come elemento di natura funzionale privo di caratteristiche intrinseche proprie.

Difatti, nel caso di specie, il marchio sonoro riproduce il semplice suono provocato dall’apertura di una lattina contenente una bevanda gassata: quindi un elemento puramente funzionale privo di quella distintività che permette ad un consumatore medio di riconoscere il prodotto e di collegarlo alla casa madre distinguendolo da altre bevande.

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un esempio pratico

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marchio-debole-forteCome regola generale, una delle caratteristiche che deve possedere un marchio per essere valido è la capacità distintiva; in virtù di ciò, un marchio privo di tale carattere non può essere registrato o, qualora qualcuno abbia tentato di farlo, può essere annullato.

Per chiarire, non può essere registrato un marchio composto solo da termini generici di uso comune e che appartengono a tutti (ad esempio le denominazioni generiche di prodotti/servizi o gli aggettivi); cioè non potrebbe mai essere registrare il marchio “casa bella”.

Può succedere però che un marchio meramente generico e descrittivo, acquisisca una certa distintività grazie all’uso protratto nel tempo ed al supporto pubblicitario. E’ il fenomeno del c.d. “secondary meaning” che si verifica quando un marchio da debole (perché privo di originalità) diventa forte.

Pertanto anche un marchio descrittivo qual è ad esempio la parola “divano” può potenzialmente acquisire nel tempo distintività. E’ esattamente ciò che è accaduto al marchio “Divani & Divani” la cui importanza sul mercato nazionale ed estero è decisamente nota a tutti.

La “Divani & Divani” conveniva in giudizio la meno conosciuta casa produttrice “Divini & Divani” contestandole una certa confondibilità con il suo marchio. La Corte di Cassazione le ha dato ragione ribaltando il giudizio espresso dalla Corte di Appello.

Quest’ultima riteneva che il ben noto marchio pugliese fosse debole perché costituito da una parola di uso comune qual è appunto “divani” e che la ripetizione della suddetta parola intervallata dalla “e” commerciale non potesse costituire requisito di originalità.

La Suprema Corte ha riconosciuto invece il fenomeno del secondary meaning; pertanto “Divani & Divani”, marchio inizialmente debole. diventa forte sul mercato proprio grazie al suo successo ottenuto attraverso un’ampia diffusione pubblicitaria e propaganda del prodotto.

Ing. Marzulli – Avv. Zambetti

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con l’aggiunta dei fenomeni del “tarnishing” e “blurring”

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AGGIORNATO IL 14/06/2021

Si ha il fenomeno della diluizione del marchio (anche detto “corrosione”) quando viene lesa la capacità distintiva di un determinato marchio, ossia quando questo non è più in grado di far pensare ad un prodotto specifico; ciò può accadere quando si diffondono una miriade di marchi simili ad esso, al punto che se un consumatore vede quel marchio non lo associa più ad un prodotto specifico ma ad una generica categoria di prodotti tutti con caratteristiche simili tra loro.

Il fenomeno, anche noto col termine di “parassitismo”, è cioè una sorta di “volgarizzazione” del marchio (ne abbiamo parlato qui) che si verifica appunto quando esso perde la sua capacità di identificare un prodotto specifico e viene associato ad un’intera categoria di prodotti con le medesime caratteristiche. 

Lo svilimento del marchio dovuto al suo offuscamento si verifica nel caso in cui l’uso del segno possa svalutare l’immagine del marchio notorio incompatibile con quella acquisita nel corso degli anni. Il fenomeno della diluizione del marchio si può verificare anche attraverso le pratiche del “tarnishing” e del “blurring”.

Il “tarnishing” avviene quando viene utilizzato illegalmente un marchio noto per contraddistinguere prodotti e/o servizi di qualità inferiore in maniera talmente evidente da non indurre in errore il consumatore sulla provenienza. Il “blurring” invece è l’associazione del marchio a prodotti differenti cioè avviene quando la capacità distintiva del prodotto celebre viene meno a causa dell’uso sempre illegittimo del marchio da parte di terzi per caratterizzare altre specie di prodotti e/o servizi.

Pertanto è importante che il marchio sia tutelato sia contro il rischio di creare confusione nel consumatore che contro lo sfruttamento parassitario della sua notorietà e della sua capacità distintiva tale da recare un pregiudizio o uno svilimento del marchio, ledendone la reputazione.

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un marchio che perde la sua “capacità distintiva”

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AGGIORNATO IL 02/08/2021

volgarizzazione del marchioLa volgarizzazione di un marchio può portare alla sua decadenza; la volgarizzazione di un marchio si verifica quando esso perde la sua capacità di identificare un prodotto specifico e viene associato ad un’intera categoria di prodotti con le medesime caratteristiche, ossia diventa di uso comune per identificare un generico prodotto di quella determinata categoria.

Dopo che un nome è diventato di uso comune, interviene la sua decadenza come marchio in quanto viene meno la sua capacità distintiva. Ricordiamo che la capacità distintiva di un marchio è considerato un elemento essenziale. Citiamo ad esempio la penna biro, il thermos, il nylon, la jeep, oggi spesso comunemente usati per identificare rispettivamente una penna a sfera, un contenitore per mantenere fresca una bevanda, un tessile sintetico od un veicolo a quattro ruote motrici.

Un altro caso è quello della Nutella che è stata inserita all’interno del dizionario Devoto-Oli come sinonimo di “crema spalmabile”. Quando venne messa in commercio la famosa crema era dotata di forza innovativa, non esisteva un prodotto similare sul mercato. In seguito, a causa dell’eccessivo successo del prodotto per intensa utilizzazione, campagne pubblicitarie e diffusione del marchio, ha acquistato notorietà.

La casa produttrice, la Ferrero, ha preteso l’aggiunta del simbolo ® sul dizionario per tutelare il suo prodotto ed impedirne la volgarizzazione. Anche la forma di un prodotto può essere dotata di capacità distintiva. Ne è un esempio la caffettiera Moka della Bialetti, esposta al fenomeno della volgarizzazione come per i marchi verbali.

Pertanto un marchio sarà forte se fantasioso e dovrà discostarsi il più possibile dalle caratteristiche intrinseche del prodotto che contraddistingue. Ad esempio se scegliessimo il marchio “BELLAPADELLA” per contraddistinguere una padella, il marchio risulterebbe piuttosto debole perché privo di fantasia nonché strettamente legato all’articolo rappresentato. Se invece attribuiamo alla padella il marchio “FIORELLA”, avremo un marchio molto forte poiché molto lontano dal prodotto contraddistinto.

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quando un marchio da “debole” può diventare “forte”

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AGGIORNATO IL 08/11/2021

MILKA-un esempio di secondary meaningSe al momento del deposito della domanda di marchio quest’ultimo è troppo generico e difetta di originalità, può comunque rafforzarsi successivamente acquisendo quella “capacità distintiva” che inizialmente mancava. In altre parole, un marchio inizialmente privo di sufficiente capacità distintiva (spesso dovuta a mancanza di originalità), può acquisirla in seguito all’uso che ne viene fatto nel tempo, passando quindi da “debole” a “forte”; è il fenomeno del “secondary meaning”.

Un marchio è “forte” quando è originale e fantasioso, riuscendo nell’obiettivo di colpire l’immaginazione dei consumatori. La capacità distintiva invece implica che non possono essere registrati come marchio d’ impresa i segni privi di tale carattere, cioè le denominazioni generiche di prodotti o servizi o le loro indicazioni descrittive; infatti un marchio è definito “debole” quando non è dotato di capacità distintiva.

Grazie al “secondary meaning” se un marchio non è inizialmente originale, può diventarlo successivamente attraverso strategie di comunicazione che da debole lo fanno diventare forte. Infatti ciò avviene quando un marchio può acquistare capacità distintiva e non essere nullo, grazie all’uso protratto nel tempo dopo o prima della registrazione.

Il secondary meaning si verifica quando una parola in origine di uso comune, quindi priva di carattere distintivo, non può inizialmente essere registrata come marchio. Difatti succede che, in seguito, con l’uso continuato del prodotto o servizio, quella parola acquisisca un significato secondario, idoneo a contraddistinguere i prodotti o i servizi. L’uso continuato da parte dell’impresa fa ottenere quel carattere individualizzante che mancava al prodotto e nel frattempo il prodotto conquista la notorietà diventando facilmente riconoscibile dal consumatore.

Altri fattori che contribuiscono a renderlo noto sono l’estensione produttiva da parte dell’impresa e gli investimenti della stessa nell’attività di comunicazione, utili per promuovere il prodotto. Un esempio evidente è quello della ben conosciuta marca di cioccolato Milka; l’iniziale marchio di colore “lilla” nella classe del cioccolato, passò da debole a forte grazie ad un’idonea campagna di comunicazione e marketing, che oggi differenzia il cioccolato Milka da prodotti similari.

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si possono registrare anche solo dei colori

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AGGIORNATO IL 31/07/2023

marchio di colore Una certa combinazione di colori è in grado di rendere un prodotto immediatamente riconoscibile e distinguibile dagli altri; il colore dona infatti un impatto visivo che cattura l’attenzione e può condizionare un acquisto. Un utente percepisce all’istante il colore di un prodotto e lo associa subito alla relativa marca prima ancora di averne letto il nome.

Il colore può dunque conferire un’efficacissima distintività e caratterizzazione ad un prodotto; è questo il principale motivo per cui è possibile registrare come marchio uno o più colori abbinati tra loro. È cioè possibile registrare come marchio la sola combinazione di più colori, senza alcuna dicitura abbinata.

Una combinazione di colori registrata come marchio, potrà essere utilizzata su un prodotto, un macchinario, per identificare un servizio e così via. Un esempio quotidiano lo ritroviamo quando per strada cerchiamo un distributore di carburante; le strutture dei vari impianti di erogazione, sono contraddistinte da un ben preciso abbinamento di colori. Capita un po’ a tutti di associare immediatamente il colore alla casa madre anche senza leggerne il nome.

Si può registrare come marchio anche solo un colore; in questo caso si esclude però che possa essere impiegato un “colore puro”, privo cioè di variazioni cromatiche. Il motivo è rappresentato dal fatto che l’esclusiva di utilizzo di quel determinato “colore puro” non può essere data a nessuno, cioè non può essere limitata ad un solo soggetto.

In tal senso si è pronunciata la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, in un caso in cui si chiedeva di registrare un marchio di colore in cui il colore utilizzato era l’arancione, appunto un colore puro. La motivazione era basata sul carattere non distintivo del colore arancione.

Il Tribunale dell’Unione Europea in una recente sentenza ha fornito alcuni chiarimenti circa le modalità con cui procedere in maniera corretta alla registrazione di un marchio di colore. Secondo il Tribunale “la semplice giustapposizione di due o più colori designati in modo astratto e senza contorni” non rispetta i criteri di costanza e precisione propri del marchio di colore (ne abbiamo parlato qui).

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quando il marchio è parzialmente tutelato anche se non è registrato

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AGGIORNATO IL 27/09/2021

marchio fattoCitando la fonte Wikipedia, il marchio di fatto è ”…un marchio che, pur non essendo registrato, gode di una particolare tutela…”. Questo significa che in taluni casi anche se il proprio segno distintivo non è stato registrato come marchio, può godere comunque di una seppur modesta tutela.

Chiariamo comunque che i diritti di un marchio di fatto saranno sempre inferiori a quelli di un marchio registrato: il proprio segno diventa “marchio di fatto” ed è quindi tutelabile, quando lo si è usato per un certo tempo, magari in un ambito territoriale ristretto, ed ha acquisito “capacità distintiva”.

La capacità distintiva permette al consumatore di riconoscere e distinguere il prodotto con il “marchio di fatto” da altri similari. Difatti, grazie alla sua funzione distintiva, il marchio consente di creare un legame tra i consumatori e i prodotti di un’impresa, rendendo immediata e spontanea l’associazione tra le caratteristiche del prodotto e l’azienda produttrice. Questi due fattori (il tempo d’uso e la capacità distintiva) sono spesso però difficili da dimostrare.

In un eventuale procedimento legale tra un marchio di fatto ed uno registrato (magari uguali tra loro), quali diritti ha il marchio di fatto? Supponiamo che il titolare del marchio di fatto sia riuscito a dimostrare la notorietà locale del suo segno, in tal caso i due marchi coesisteranno in quel determinato territorio senza che nessuno dei due possa impedire all’altro di esistere.

A questo punto nascono però delle differenze tra i due marchi dell’esempio: il marchio registrato avendo una tutela più ampia, può impedire ad altri di usare un segno uguale o simile, oppure può espandersi in tutti i Paesi nei quali è registrato, mentre il marchio di fatto non potrà impedire ad altri alcunchè e dovrà rimanere circoscritto alla porzione di territorio iniziale, senza quindi possibilità di espandersi.

In definitiva, se è vero che un marchio di fatto ha una sua tutela, è anche vero che un marchio registrato ha diritti e possibilità di tutela di gran lunga superiori. Si tenga infine conto che un marchio registrato dura 10 anni rinnovabili un numero indefinito di volte, mentre il marchio di fatto decade nel momento in cui non li si utilizza più.

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