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Il marchio di un personaggio noto

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Ci si domanda se è possibile registrare come marchio il nome e cognome di una celebrità, nonché il suo nome d’arte. La risposta è affermativa. E’ certamente possibile: un utente medio assocerà immediatamente il marchio al volto noto. Sarà legittimato al suo utilizzo il titolare del marchio e/o potrà autorizzare terzi ad adoperarlo.

La legge prevede che, in generale (quindi non solo per le celebrità), possa essere registrato un patronimico cioè un marchio costituito dal proprio nome e cognome o anche solo dal cognome, a condizione però che non corrisponda ad un marchio noto altrui, registrato anteriormente nella stessa classe merceologica.

Il Codice della Proprietà Industriale stabilisce inoltre che i nomi propri di persona, diversi da quelli del titolare del marchio possono essere registrati solo se il loro utilizzo non vada a ledere la reputazione ed il decoro di chi possiede quel nome (ne abbiamo parlato qui).

Ricordiamo che, affinchè un segno possa essere validamente registrato come marchio, deve essere dotato di:

  1. novità, ossia non sia confondibile con i segni distintivi anteriori altrui (marchi, nomi a dominio, nomi commerciali);
  2. distintività, ossia consenta al consumatore di ricollegare i prodotti contraddistinti dal marchio all’impresa produttrice;
  3. liceità, ovvero la non contrarietà alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume e, soprattutto, la non idoneità a trarre in inganno i consumatori sulle caratteristiche e le qualità dei relativi prodotti e servizi (ne abbiamo parlato qui

E’ importante registrare:

  • per avere un uso esclusivo del marchio ed impedirne a terzi l’utilizzo;
  • per poter avviare un procedimento di opposizione in caso di utilizzo illecito da parte di terzi;
  • per guadagnare dall’eventuale concessione in licenza del marchio;
  • per possedere un “bene immateriale” che può potenzialmente raggiungere valori elevatissimi.

Vedi anche:

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Nessuna tutela per il diritto d’autore

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Uno slogan o un messaggio pubblicitario contenente marchi famosi non può essere tutelato dalla disciplina sul diritto d’autore: lo ha stabilito la Corte di Cassazione in una recente sentenza.

Uno slogan che cita marchi celebri sarebbe caratterizzato da una distintività basata non sull’originalità ma sul riconoscimento e ammirazione da parte del pubblico nei confronti della norietà. Il marchio notorio è il marchio noto al pubblico che gode dello stato di rinomanza. Per poter definire un marchio come noto si fa solitamente riferimento ad alcuni fattori, quali la presenza diffusa sul mercato, gli investimenti pubblicitari, la conoscenza e riconoscibilità tra gli utenti (ne abbiamo parlato qui). 

Nel caso di specie detto slogan era stato preventivamente registrato presso la Società Italiana Autori ed Editori (SIAE). In considerazione di tale previa registrazione, il suo titolare decideva di agire in giudizio lamentando l’utilizzo abusivo dello slogan da parte da parte di una nota casa automobilistica. La Suprema Corte affermava che, per ciò che concerne il diritto d’ autore, la rivendicazione del diritto di privativa a seguito di registrazione di un messaggio pubblicitario (slogan) necessita che “sia dimostrata l’originalità del creato, da escludersi in ipotesi di utilizzazione, nel medesimo messaggio, del riferimento a marchi già registrati e dotati di determinante capacità evocativa, sì che quel collegamento, per la sua forza evocativa autonoma, faccia venir meno la parte creativa del claim ed escluda l’elemento innovativo”.

Pertanto nessuna tutela riguardante la normativa sul diritto d’autore potrà essere concessa allo slogan privo di originalità e creatività, in quanto mancante di un effetto evocativo indipendente dalla notorietà dei marchi contenuti nello stesso.

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Vediamo come

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Se si possiede un marchio noto si ha diritto ad alcune importanti extra-tutele (ad esempio la copertura in tutte le classi), ma com’è facile immaginare è necessario fornire prova di notorietà.
Per dimostrarla l’EUIPO fornisce alcune direttive (art. 8 dell’RMUE) in grado di spiegare quali documenti risultano idonei ai fini di una prova valida. Vediamoli nel dettaglio.

Per determinare il livello di notorietà, si devono prendere in considerazione:

  • la quota di mercato detenuta dal marchio, cioè la percentuale delle vendite totali ottenute in un determinato settore del mercato;
  • l’intensità dell’uso di un marchio, che può essere dimostrata facendo riferimento al volume delle vendite (cioè al numero di unità vendute) e al giro d’affari (cioè al valore totale di tali vendite) conseguiti relativamente ai prodotti contrassegnati dal marchio;
  • l’ambito geografico, cioè l’asserita notorietà del marchio che deve essere abbastanza diffusa, tale da coprire una parte sostanziale del territorio di riferimento;
  • la durata del suo uso cioè la longevità del marchio; quanto più a lungo il marchio è stato usato sul mercato, tanto maggiore sarà il numero di consumatori che presumibilmente lo avranno incontrato;
  • l’entità degli investimenti effettuati dall’impresa per promuoverlo. Ad esempio una campagna promozionale lunga, intensa e diffusa può costituire un forte indizio del fatto che il marchio abbia acquisito una notorietà.

L’EUIPO precisa inoltre che i documenti probatori, dovranno provenire da fonti indipendenti ed autorevoli.

Per dimostrare il grado di notorietà (cioè quando il marchio è conosciuto da una parte significativa di pubblico), sono importanti ad esempio i sondaggi di opinione e le indagini di mercato da parte di enti indipendenti sulla percezione del segno. Di norma, quanto più alta è la percentuale di conoscenza del marchio, tanto più agevole sarà presumere che il marchio goda di notorietà.

E’ importante sapere che un marchio famoso gode di una tutela ultramerceologica, cioè si può considerare tutelato in tutte le classi: questo serve ad impedire che terzi traggano vantaggio dalla notorietà di quel marchio e che si generi confusione nel consumatore che, di fronte ad un marchio uguale ad uno noto (o che ne contiene una parte) lo collegherà immediatamente al prodotto o al servizio famoso ed alla sua qualità (ne abbiamo parlato qui). 

Tale comportamento pregiudizievole risulterebbe lesivo dei diritti esclusivi del proprietario del marchio noto: il titolare del marchio non noto non può e non deve sfruttare la notorietà tanto conquistata sul mercato dal marchio rivale registrato anteriormente.

(fonte: Euipo)

  1. Vedi anche:

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Quando è possibile registrare un marchio patronimico

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E’ possibile registrare un marchio patronimico cioè un marchio costituito dal proprio nome e cognome o anche solo dal cognome a condizione che non corrisponda ad un marchio noto altrui, registrato anteriormente nella stessa classe merceologica.

Apriamo una piccola parentesi. E’ proprio il Codice della Proprietà Industriale a stabilire che i nomi propri di persona diversi da quelli del titolare del marchio possono essere registrati solo se il loro utilizzo non vada a ledere la reputazione ed il decoro di chi possiede quel nome. A tal proposito l’UIBM (Ufficio Italiano Brevetti e Marchi) può richiedere l’autorizzazione all’effettivo titolare del nome.

Fatta questa premessa, un esempio pratico lo abbiamo nel 2016 in cui proprio la Corte di Cassazione stabiliva che non è possibile utilizzare come segno distintivo il proprio nome anagrafico se questo è stato già registrato come marchio per settori merceologici identici o affini, salvo il suo impiego limitato secondo il principio di correttezza professionale. Il diritto al nome viene dunque leso e pertanto non è possibile registrarlo per contraddistinguere la propria attività economica e commerciale, nei casi in cui sia già stato registrato un identico marchio patronimico.

Nel caso di specie la Suprema Corte si pronunciava su una diatriba che vedeva da un lato le società titolari di diversi marchi con il nome “Fiorucci” e Elio Fiorucci in riguardo al marchio “Love Therapy by Elio Fiorucci”, depositato dallo stesso stilista. I primi lamentavano la violazione dei propri diritti esclusivi, la concorrenza sleale ed un indebito vantaggio a favore di Elio Fiorucci.

Era accaduto che lo stilista Elio Fiorucci, uscito dalla Fiorucci S.p.a nel 1990, aveva pensato di cedere diversi marchi con il nome patronimico “Fiorucci”. Lo stesso stilista aveva in seguito registrato il marchio “Love Therapy by Elio Fiorucci” ed altri marchi simili in cui era presente il nome Elio Fiorucci.

Come si può facilmente comprendere, nel marchio in questione era presente un patronimico (Fiorucci) coincidente con il nome della persona (stilista) che in precedenza l’aveva inserito in un marchio registrato, divenuto poi celebre e ceduto in seguito a terzi.

Pertanto una volta che un segno costituito da un certo nome anagrafico sia stato validamente registrato come marchio e ceduto a terzi, neppure la persona che legittimamente porti quel nome può poi utilizzarlo come marchio in settori merceologici identici o affini; quello che può fare è solo utilizzare il patronimico in relazione alle proprie attività professionali, ma solo in funzione descrittiva e a condizione che non rechi confusione.

Nel 2020 in una recentissima sentenza la Corte di Cassazione ha ribadito che l’uso del marchio con il patronimico “Fiorucci” da parte del sig. Elio Fiorucci è illegittimo.

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Quando è illecito sui social network

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L’uso di marchi altrui senza autorizzazione, da parte degli influencers sui social media, è illecito quando ha natura commerciale e scopo pubblicitario perchè risulta lesivo dei diritti esclusivi del titolare del marchio in pregiudizio della sua notorietà.

Lo hanno stabilito sia il Tribunale di Genova, il quale ha ordinato la rimozione delle immagini illecite, che quello di Milano che ha riconosciuto il rischio di associazione tra i prodotti in occasione di una disputa che vedeva come protagonisti un influencer tedesco e la Ferrari, noto marchio di lusso automobilistico italiano.

Lo stilista influencer, per promuovere i suoi prodotti, avrebbe illecitamente sfruttato la notorietà della casa automobilistica mediante pubblicazione su Instagram di immagini in cui venivano riprodotte le sue calzature accanto alla Ferrari.

L’azienda di Maranello contestava l’illegittimo utilizzo commerciale del marchio a danno della sua immagine, comportamento reiterato nel tempo nonostante le numerose diffide.

Apriamo una piccola parentesi: quando si è di fronte ad un marchio famoso è bene sottolineare che quest’ultimo gode di una tutela ultramerceologica (cioè si può considerare tutelato in tutte le classi), questo serve ad impedire che terzi traggano vantaggio dalla notorietà di quel marchio e che si generi confusione nel consumatore che, di fronte ad un marchio uguale ad uno noto (o che ne contiene una parte) lo collegherà immediatamente al prodotto o al servizio famoso ed alla sua qualità (ne abbiamo parlato qui). 

Quindi, la pubblicazione delle immagini nelle quali venivano immortalate le calzature sulla Ferrari non potevano avere altra finalità se non quella di trarne un vantaggio commerciale che lasciavano anche intendere erroneamente un’associazione tra prodotti cioè un accordo tra lo stilista e la leggendaria azienda icona del made in Italy.

Per completezza, il Tribunale di Genova ha anche precisato che vi è liceità nell’uso di segni altrui solo quando:

  1. l’utilizzo sia stato autorizzato dal titolare del segno distintivo;
  2. le immagini in cui il marchio appare “possano comunicare al pubblico un significato diverso da quello pubblicitario e commerciale, e cioè siano descrittive di scene di vita dell’influencer o di terze persone”.

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Il cybersquatting e il typosquatting

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AGGIORNATO IL 13/06/2022

Il fenomeno del “cybersquatting” consiste nella registrazione in malafede di un nome a dominio uguale ad un marchio esistente già registrato, senza il consenso del titolare di quest’ultimo.

Il “typosquatting” invece si verifica quando un soggetto registra, sempre in malafede, un nome a dominio in cui nella dicitura è presente un piccolo errore ortografico con l’intento di ingannare la vittima e carpirne informazioni personali importanti quali ad esempio password, dati finanziari etc. (phishing).

Un recente caso di typosquatting ha visto come protagonisti la “Tetra pak” da un lato e  il nome a dominio “Acquatetrapack.it” dall’altro: la Tetra Pak, ricorrente, accusava la suddetta società di dirottare i suoi clienti verso il nome a dominio in questione e che, pertanto, ci fosse confondibilità e malafede verso il suo marchio anteriore. La ricorrente chiedeva quindi il trasferimento del nome a dominio “Acquatetrapack.it” in suo favore (ne abbiamo parlato qui).

Il “cybersquatting” è invece una pratica illecita che non solo mette in confusione il consumatore perchè il sito viene solitamente usato per vendere merce contraffatta (o per accogliere link a pagamento) ma, tale attività, finalizzata a diffondere informazioni non veritiere e fuorvianti, mette in cattiva luce l’azienda produttrice con serio pregiudizio alla sua immagine e reputazione.

Si può ben comprendere che un’attività di e-commerce che negli ultimi tempi ha letteralmente cambiato il commercio ed il nostro modo di acquistare, si rivela molto allettante per un potenziale truffatore; è indubbio che il fine sia quello di trarre vantaggio, a maggior ragione se trattasi di un marchio noto. A sua volta il titolare del marchio noto per difendersi può agire legalmente al fine di ottenere la riassegnazione del nome a dominio in questione (ne abbiamo parlato qui).

Per poter adire le vie legali devono però verificarsi le seguenti condizioni:

  1. L’autore del cybersquatting deve avere registrato il dominio in malafede;
  2. Chi richiede la riassegnazione del dominio deve avere un diritto provato sullo stesso e pertanto il suo marchio deve essere registrato;
  3. Il nome del dominio deve essere identico o confondibile con il nome di colui che ne richiede la riassegnazione.

In Italia il nome a domino è protetto in linea di massima dalle leggi sulla tutela dei marchi e vi è anche un importante strumento, il “registro.it”, cioè un’anagrafe dei domini italiani in cui affluiscono le pratiche di cybersqatting e typosquatting relative all’assegnazione, contestazione e riassegnazione dei nomi a dominio agli aventi diritto.

Il nostro consiglio è quello di procedere senza indugio alla registrazione dei marchi per poterne vantare la titolarità verso azioni illecite lesive dei propri diritti; inoltre consigliamo di non sottovalutare l’importanza dei nomi a dominio, provvedendo al più presto alla loro registrazione anche a scopo preventivo.

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Il famoso tartan è ora un marchio noto

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Il motivo a quadri della Burberry (detto “tartan”) è ormai un celebre marchio figurativo. La riproduzione del disegno scozzese senza autorizzazione da parte del suo titolare, costituisce reato di contraffazione anche se non viene riprodotta la denominazione “Burberry”.

Lo ha stabilito la Cassazione penale in una recente sentenza dopo una lunga diatriba che ha visto accogliere il ricorso della famosa casa di moda di lusso britannica.

Il marchio “Burberry check” è un marchio noto, la sua trama permette visivamente al consumatore di collegare all’istante il capo d’abbigliamento alla storica casa produttrice.

Pertanto la titolarità del marchio “Burberry check” permetterà alla casa inglese di godere dell’esclusiva del marchio costituendo un precedente per future controversie.

E’ facile comprendere che l’estetica di un prodotto ha un’enorme importanza ai fini del suo successo commerciale; investire in design e ricercatezza estetica è diventato pertanto fondamentale e, spesso, imprescindibile per differenziarsi dalla concorrenza e, col tempo, acquisire unicità e notorietà.

Quindi l’aspetto esteriore di un prodotto può essere tutelato con la registrazione di un modello o disegno. Questa è una scelta premiante non solo in termini di notorietà dell’azienda ma anche di posizionamento sul mercato.

Infatti molte sono le aziende che impiegano cospicue risorse per la progettazione e realizzazione dei disegni o dei modelli di design con l’obiettivo di accaparrarsi una buona fetta di mercato, magari indirizzata ai palati più raffinati (ne abbiamo parlato qui).

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di che si tratta

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AGGIORNATO 15/05/2023

Un marchio “vintage” è un marchio storico, un cult, particolarmente noto nel passato; il marchio “vintage” è un’icona intramontabile riconoscibilissima da chiunque, che proprio grazie alla sua notorietà è riuscito a rimanere vivo nel corso degli anni e delle generazioni, talmente famoso da sopravvivere talvolta alla sua stessa azienda creatrice.

Talvolta è tuttavia capitato che con il passare del tempo ad un certo punto un marchio “vintage” abbia avuto bisogno, per tornare in voga, di essere “svecchiato” e adeguato alle nuove tendenze, senza però intaccarne l’identità che l’ha reso unico e inimitabile. Si tratta dell’attività c.d. di “heritage marketing” cioè il patrimonio storico di un brand.

L’heritage-marketing è una strategia che prevede il rilancio di un marchio storico sul mercato, al fine di migliorare il suo posizionamento sfruttandone l’indiscussa identità che emotivamente rievoca nel consumatore momenti nostalgici di gioventù ormai passati.

Un esempio di successo da citare è quello del gruppo “BasicNet” che ha rilevato marchi storici quali Kappa, K-Way e Superga, riportandoli in auge grazie ad opportune manovre strategiche di marketing. Stessa sorte toccata a tanti altri marchi che hanno lasciato il segno nel mercato della moda di qualche decennio fa.

Nell’ambito dei prodotti alimentari citiamo ad esempio Buondì, Girella, Ciocorì e Biancorì rilanciati dal gruppo Bauli. Sono marchi che nonostante il fallimento delle rispettive aziende creatrici, sono sopravvissuti e continuano a restare in vita con successo grazie a manovre strategiche di rilancio sul mercato.

A tal proposito è interessante sapere che di recente è stato istituito il “Registro speciale dei marchi storici di interesse nazionale”. Possono entrare a far parte del suddetto Registro tutte le aziende in attivo che possiedono un marchio registrato da almeno 50 anni e rinnovato con continuità nel tempo. Se si è in possesso dei predetti requisiti è possibile presentare domanda direttamente all’UIBM ed esclusivamente per via telematica (ne abbiamo parlato qui).

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cos’è e come ci si comporta di fronte ad un marchio famoso

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AGGIORNATO IL 01/02/2021

marchio coca colaCome regola generale non è possibile registrare un marchio uguale (o simile) ad uno famoso, anche se si desidera farlo in una classe diversa da quella del marchio noto.

La legge, infatti, riconosce al marchio noto una tutela ultramerceologica, cioè una tutela estesa a tutte le classi, anche se inizialmente quel marchio era stato registrato solo in una classe.

Quando un marchio è noto si può pertanto considerare tutelato in tutte le 45 classi della Classificazione di Nizza. Facciamo un esempio: consideriamo il marchio “Coca Cola” che, essendo noto, sarà tutelato non solo per la classe delle bibite ma anche per tutte le altre classi di prodotti e servizi. La stessa regola vale se il marchio che si intende registrare introduce altri termini in aggiunta a quello famoso come ad esempio “coca cola benefit”.

La tutela ultramerceologica garantita dalla legge serve ad impedire che dei terzi traggano un vantaggio economico dalla notorietà altrui, ma non solo; l’utilizzo da parte di terzi di quel marchio anche per prodotti non affini può generare confusione nel consumatore e creare un pregiudizio per il marchio celebre perchè il consumatore di fronte ad un marchio uguale ad uno noto (o che ne contiene una parte) lo collegherà immediatamente al prodotto o al servizio famoso ed alla sua qualità.

A questo punto sorge però la domanda “come sapere se un marchio è noto o meno?”;  per poter definire un marchio come noto si fa solitamente riferimento ad alcuni fattori, quali la presenza diffusa sul mercato, gli investimenti pubblicitari, la conoscenza e riconoscibilità tra gli utenti. Ricordiamo che il titolare del marchio non noto che cerca di avvantaggiarsi della notorietà dell’altro, rischia che gli venga fatta opposizione od anche una richiesta di risarcimento danni.

A tal proposito un fenomeno che merita di essere menzionato riguarda l’attuale figura degli Influencers. L’uso di marchi notori altrui da parte di questi ultimi sui social media senza autorizzazione, è illecito quando ha natura commerciale e scopo pubblicitario. L’associazione tra i prodotti dell’Influencer e quelli contraddistinti dal marchio noto crea confusione nel consumatore e questa condotta illecita lede i diritti esclusivi del titolare del marchio in pregiudizio della sua notorietà (ne abbiamo parlato qui).

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