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Vediamo se è possibile

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Riprodurre un marchio famoso con citazione ironica, a scopo umoristico a mo’ di parodia può essere un atto lecito ma con dei ben precisi limiti. Facciamo un esempio: supponiamo di voler riprodurre in modo scherzoso il marchio “Armani” e pensiamo di volerne fare il verso utilizzando la dicitura “Armadi”, è possibile?

Diciamo subito che due marchi simili di cui uno rappresenti la versione umoristica dell’altro può non generare conflitto e l’utilizzo può essere considerato lecito a patto che la parodia non rechi:

  1. un vantaggio economico al titolare del marchio umoristico;
  2. un pregiudizio al marchio originario sfruttandone la notorietà.

Può accadere però che il vantaggio economico risulti indiretto e, pertanto non immediatamente percepibile ma realizzabile nel tempo. E’ bene quindi applicare sempre la regola generale che è quella della non confondibilità: un marchio non deve essere confondibile con un marchio antecedente già registrato nella stessa classe.

La confondibilità è la possibilità che, mediante utilizzo di un segno distintivo, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione tra i due segni. Tale rischio di confusione per il pubblico è particolarmente intenso quando il segno distintivo è non solo identico o simile al marchio registrato ma è anche utilizzato per contraddistinguere prodotti o servizi identici o affini a quelli distinti con il marchio registrato (ne abbiamo parlato qui).

Per chiarire meglio il concetto, citiamo una recente pronuncia della Cassazione Penale circa il ritiro o meno dal mercato di alcuni articoli del settore abbigliamento (Fake Lab), caratterizzati dalla rappresentazione sfacciatamente ironica di immagini satiriche create avendo in mente marchi noti. Si trattava della riproduzione di marchi famosi quali Prada, Dior etc. con grafiche caricaturali. Per la Suprema Corte tale attività non aveva uno scopo imitativo ma di parodia e rappresentava un’indiscussa originalità artistica tale da non creare confusione e non sfociare nel reato di contraffazione che, invece, è la capacità di un prodotto falso di confondersi con l’originale.

In seguito anche il Tribunale di Milano si è pronunciato sulla diffusione di altri articoli sempre a marchio Fake Lab ma, contrariamente all’orientamento della Cassazione Penale, in questo caso il giudice ne aveva ordinato il ritiro dal mercato. Il Tribunale adduceva l’evidenza dell’interesse economico non riscontrando nulla di artistico, ritenendo invece sussistere la contraffazione del marchio e la concorrenza sleale.

Pertanto, non essendoci univocità giurisprudenziale, l’esposizione ad un rischio di confondibilità sino a sfociare in una ipotesi di reato di contraffazione è sempre dietro l’angolo, a maggior ragione se trattasi di marchi noti.

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